| Chi non ha mai sentito frasi come “il thrash è morto”? Forse è la nostalgia, forse è la chiusura mentale, l'unica cosa certa è la falsità di simili affermazioni. La verità è che il thrash metal ha effettivamente avuto qualche anno di buio, per poi rinascere sotto una nuova luce. C'è da fare una piccola premessa: l'old school stava già perdendo terreno in favore di uno stile molto più maturo – il technical thrash, con l'avvento di band come i Watchtower- , tuttavia sembrava persistere, se non che l'arrivo del grunge fece sì che le formazioni storiche optassero per sentieri diversi. Tale disgregazione non portò, tuttavia, alla morte del genere, bensì ne permise il rinnovamento. I Meshuggah furono probabilmente i capostipiti di questa nuova corrente: non siamo più di fronte ad un trand ben definito, bensì ad un flusso nato dalla ramificazione di più generi, dando vita ad un sound moderno e capace di reggere alle innovazioni presentate dal panorama musicale, senza rimanere incatenato ad una musica obsoleta. Questo movimento musicale fu sviluppato da diverse band, tra le quali troviamo i Nevermore, band nata dalle ceneri dei Sanctuary, che iniziarono il loro processo formativo musicale tra i consensi della critica, grazie al loro sound innovativo e fresco.
Siamo nel 2000. Dopo lo splendido Dreaming Neon Black, i Nevermore si accingono a raggiungere la vetta della loro maturazione, dando vita così a quello è che probababilmente il loro capolavoro, ovvero Dead Heart in A Dead World. L'album inizia con Narcosynthesis, presentando un sound martellante, diretto e arricchito da una buona dose di tecnica. Viene presentata un'atmosfera cupa e profonda, mentre sussiste in piccola parte una melodia di fondo, che annega inesorabilmente in un fiume di potenza. We Disintegrate approfondisce la parte melodica, che diventa parte integrante del sound, mentre il vocalist ci offre un'ottima prova, proponendo un cantato più personale, tuttavia, con Inside Four Walls, si torna ad un sound più granitico, offrendo un brano claustrofobico ed opprimente, assieme ad una visione distorta della politica statunitense, alludendo probabilmente all'imprigionamento dell'uomo dentro questo freddo sistema. In Evolution 169 tornano gli sprazzi melodici, che però assumono un'aria più tetra, risollevando l'anima dell'ascoltatore, che prova sollievo con un ritornello pulito deponendo brevemente la violenza; questo clima di rilassamento è spesso interrotto da una pura scarica di adrenalina e ritorna alla fine del brano, suscitando emozioni contrastanti ad una velocità da cardiopalma. E' il momento di The River Dragon Has Come, una delle perle del disco. In esso gli sprazzi melodici prendono una forma concreta attraverso degli arpeggi, lasciando spazio successivamente a taglienti riff capaci di ferire l'anima. Il lavoro delle chitarre è a dir poco sublime sia sotto il profilo ritmico che solista. Con The Heart Collector l'album ci regala una stupenda ballata, capace di far sognare e di commuovere chiunque abbia un cuore, dimostrando la genialità dei Nevermore. E' il turno di Engines Of Fate, forse il brano più adrenalinico dell'intero pattern, graziato dall'alchimia dei musicisti che riescono a creare un brano capace di unire perfettamente la brutalità alla bellezza, che regala così all'album un'altra track sopra le righe; The Sound Of Silence è semplicemente la dimostrazione di quanto audaci siano questi artisti, capaci, di trasformare un brano classico e delicato in una bomba ad orologeria. Insignificant e Believe In Nothing impreziosiscono l'opera con due bellissime ballate e dimostrano l'assoluta maturazione del gruppo di Seattle, originali poeti ed alfieri del metal contemporaneo. La title track è la degna conclusione di un capolavoro: intro retrò con una dolce chitarra acustica ed il suono del 33 giri, per poi sfociare nel classico sound made Nevermore.
Non ci sono giri di parole: Dead Heart in a Dead World è un masterpiece, un lavoro tremendamente appassionante, ricco di idee originali, capace di creare e distruggere i sogni a proprio piacimento. Commentarlo non è facile, dato che le sensazioni che esso suscita sono molto profonde e personali, perciò mi sono limitato a ricomporre questo mosaico secondo la mia visione. I Nevermore si affermano uno dei gruppi più interessanti dell'intero decennio e dimostrano maturità, preparazione tecnica ed anche un certo eclettismo.
Voto: 90.
Ps: visto che non l'ho riguardata neanche una volta, se notate ripetizioni/errori grammaticali e/o di battitura vi sarei grato se me li faceste notare.
Edited by Phemt. - 30/3/2010, 03:03
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